La Cassazione con Ordinanza n. 20840 del 18 luglio 2023 ha affermato che nel caso di cancellazione di una srl, a ristretta base societaria, dal registro delle imprese, i soci sono responsabili dei debiti maturati dalla stessa nei confronti dell’Erario pur se, all'atto della liquidazione, non hanno ricevuto utili. Il Fisco può vantare pretese per una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti.
Vediamo i dettagli del caso di specie.
Società estinta: responsabilità dei soci verso il Fisco
Nel caso in esame della suprema corte, quattro contribuenti con qualifiche di soci e legali rappresentanti presentavano ricorso avverso avvisi di accertamento per maggiori imposte.
La CTP accoglieva parzialmente le pretese e quella regionale le rigettava.
In particolare, i giudici regionali, dopo aver affermato che, a seguito dell'estinzione della Srl, i soci succedevano ad essa nei debiti tributari verso l'Erario, e che anche il liquidatore della società era responsabile nei confronti del fisco, in quanto consapevole di aver posto in essere operazioni economiche per sottrarre all'imposizione parte degli utili, riconoscevano la fondatezza della pretesa tributaria, basata su una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti.
Nel dettaglio, secondo la CTR:
- il comportamento antieconomico della società,
- lo scostamento dal valore normale del prezzo di vendita degli immobili,
- la differenza tra il prezzo di vendita e quello di immobili simili, risultante da preliminari di compravendita, perizie di stima e corrispondenza con istituti bancari,
costituivano elementi atti a legittimare la determinazione da parte dell'ufficio del prezzo di vendita in un importo pari al valore normale dei beni, presumendo una distribuzione ai soci degli utili extracontabili della Srl a ristretta base.
I contribuenti impugnavano la sentenza in Cassazione sulla base di quattro motivi ai quali replicava l’ufficio con controricorso.
I giudici di legittimità, con l’ordinanza in commento, hanno rigettato i ricorsi di parte condannando i contribuenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore dell’Erario.
In particolare, la Cassazione afferma che la responsabilità dei liquidatori e degli amministratori per le imposte non pagate con le attività della liquidazione, prevista dall'articolo 36 del Dpr n. 602/1973, è una fattispecie autonoma che sussiste in presenza dei requisiti normativi e non prevede alcuna successione o coobbligazione nei debiti tributari per effetto della cancellazione della società dal registro delle imprese.
Nel caso specifico, la CTR ha ritenuto che si fossero realizzati i requisiti di legge previsti dal citato articolo 36 nei confronti del liquidatore a sua volta socio di una altra Srl, che deteneva il 66,67% della società liquidata.
Per quanto riguarda la responsabilità dei soci, la stessa Commissione regionale ha affermato che, nel caso di estinzione della società, il socio resta responsabile per l'intero debito tributario in contestazione, in base al fenomeno successorio tra la società estinta e i soci (ex articolo 2495 cc) e ciò indipendentemente dall'attribuzione di utili in sede di liquidazione.
Secondo l'indirizzo prevalente della Corte suprema, l'utile partecipazione alla distribuzione dell'attivo liquidato non costituisce presupposto costitutivo della successione del socio.
La Cassazione ha più volte sottolineato come il socio sia comunque destinato a subentrare nella posizione debitoria e che addirittura la mancata utile partecipazione non consenta di escludere lo stesso interesse ad agire del creditore.
Con la pronuncia n. 6071/2013 è stato affermato che: “quando il debitore è un ente collettivo, non v'è ragione per ritenere che la sua estinzione (…) non dia ugualmente luogo ad un fenomeno di tipo successorio, sia pure sui generis, che coinvolge i soci ed è variamente disciplinato dalla legge a seconda del diverso regime di responsabilità da cui, pendente societate, erano caratterizzati i pregressi rapporti sociali. Nessun ingiustificato pregiudizio viene arrecato alle ragioni dei creditori, del resto, per il fatto che i soci di società di capitali rispondono solo nei limiti dell'attivo loro distribuito all'esito della liquidazione”.
Nel caso in esame, in cui si dibatte della distribuzione degli utili extrabilancio della società a ristretta base partecipativa, la statuizione del giudice di appello risulta condivisibile, in quanto l'Amministrazione finanziaria può agire contro gli ex soci di una società estinta anche se non hanno percepito utili in sede di liquidazione dell'ente.
La possibilità di sopravvenienze attive o l'esistenza di diritti non contemplati nel bilancio finale giustificano l'interesse dell'Agenzia delle entrate a procurarsi un titolo in considerazione della natura dinamica dello stesso interesse.
La Cassazione ha più volte ribadito il principio secondo cui “in tema di società di capitali a ristretta base partecipativa, l'estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, determinando un fenomeno di tipo successorio, non fa venir meno l'interesse dei creditori sociali (nella specie, l'Agenzia delle Entrate) ad agire ed a procurarsi un titolo nei confronti dei soci della società estinta, a prescindere dall'utile partecipazione di essi alla ripartizione finale, potendo comunque residuare beni e diritti (nella specie, utili extracontabili) che, ancorché non ricompresi nel bilancio finale di liquidazione, si sono trasferiti ai soci»).
Ll'Agenzia delle entrate ha rilevato che è stato precisato varie volte che:
“La presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il principio generale del divieto dell'abuso del diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza, nonché nella tendenza all'oggettivazione del diritto commerciale ed all'attribuzione di rilevanza giuridica all'impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare. (Fattispecie relativa a società a responsabilità limitata partecipata per il 10 per cento da un socio e per il 90 per cento da una società per azioni, della quale erano soci, al 5 per cento, la persona fisica già socia della società a responsabilità limitata e, per il 95 per cento, il coniuge)» (Cass. 13338/2009).
La cassazione ha ritenuto in tante occasioni che “l'accertata dichiarazione o esposizione in bilancio di costi fittizi, da parte di una società di capitali a ristretta base partecipativa, è di per sé sufficiente a far presumere l'esistenza di un maggior reddito imponibile in misura pari ai costi fittiziamente dichiarati, senza alcuna necessità per l'amministrazione finanziaria di dimostrare che dal maggior reddito siano derivati maggiori utili distribuibili ai soci, e ferma restando la possibilità, per il contribuente, di fornire la prova contraria” (Cassazione n. 10679/2022).
Pertanto, il fatto che nella compagine sociale della società a ristretta base vi sia un'altra società a responsabilità limitata a sua volta a ristretta base, non esclude la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci.